martedì 25 ottobre 2011

The Walking Dead: lo zombie sbarca in Tv


Dal lontano 1968, quando l’allora ventottenne regista italo-americano George A. Romero sconvolse il pubblico con La notte dei morti viventi (Night of the living dead), rileggendo in chiave apocalittica la tradizione voodoo degli zombie, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Lo stesso Romero di film "zombeschi" ne ha girati nel frattempo altri cinque (con alterne fortune), altri registi hanno tentato la sorte gettandosi semplicemente nella mischia, alcuni hanno cercato un’innovazione che non sempre è andata a buon fine, quelli meno creativi hanno rischiato la strada del remake. Nessuno, però, fino al 2010, aveva provato a portare lo zombie in tv. Fino ad allora sembrava un personaggio destinato alle nicchie di appassionati e relegato (come avvenuto per La notte dei morti viventi) in qualche cinema di serie B, come se portarlo dentro le case degli spettatori potesse rappresentare un atto dissacrante. A traghettarlo nella nuova epoca, dove sempre di più il mezzo televisivo tende a soverchiare quello cinematografico, ci ha pensato Frank Darabont, regista di capolavori come Le ali della libertà e Il miglio verde e profondo conoscitore del mondo romeriano.
Con l’operazione The Walking Dead, ispirato alla serie a fumetti creata da Robert Kirkman pubblicata per la prima volta nel 2003, Darabont ha riportato in auge personaggi e storie che negli ultimi anni sembravano essere stati vittima di una sorta di oscurantismo che aveva trasformato gli zombie in mostri assetati di carne e sangue. Fin dalla costruzione del primo episodio della season one, I giorni andati, il regista ha dimostrato come il suo obiettivo fosse quello di rimanere ancorato alla tradizione classica, concentrandosi principalmente nel trasmettere il nulla, il silenzio e la desolazione di un mondo ormai distrutto. Esemplare sotto questo punto di vista è la scena iniziale del primo episodio, in cui il vicesceriffo Rick Grimes (Andrew Lincoln) si risveglia in un ospedale abbandonato dove le uniche voci sono i lamenti dei morti che vorrebbero uscire dall’obitorio sprangato, per poi effettuare una ricognizione tra strade deserte, cadaveri avvolti nei lenzuoli, detriti e ammassi contorti di lamiere, case vuote e abbandonate di corsa.
Darabont si muove in punta di piedi in un territorio quasi sacro, raccontando la sua storia lentamente, prendendo le distanze dai recenti action-movie alla Resident Evil o The Horde, per concentrarsi invece sui personaggi, veri protagonisti della serie. Rinnovando l’ideologia romeriana, il regista di origini ungheresi fa degli zombie lo specchio della disgregazione sociale, utilizzandoli come motivo scatenante dei conflitti tra gli esseri umani. Pur nella loro feroce fisicità (sfondano vetrine e abbattono cancelli) i mostri di Darabont rimangono degli strumenti per analizzare la psiche umana e la sua reazione a una situazione al limite come quella in cui si trovano i sopravvissuti. Emblematica in tal senso una scena del secondo episodio della prima stagione, Una via d’uscita, in cui si scatena una rissa sul tetto dell’edificio (un grande magazzino come in Zombie di Romero!) dove sono assediati i sopravvissuti, per decidere “chi comanda”. Darabont sembra volerci dire che l’uomo non è cambiato: egoismo, rabbia, frustrazione e voglia di rivalsa sono rimasti tali e in quella determinata situazione diventano armi più pericolose degli stessi zombie.
Come nella più classica trasposizione cinematografica (basti ricordare la fine che fa, al termine del film, il protagonista di La notte dei morti viventi), in The Walking Dead non ci sono pertanto eroi, ma soltanto uomini e donne in cerca di una nuova casa e desiderosi di ristabilire l’equilibrio perso con il ritorno in terra dei morti. Eppure, personaggi come lo stesso Rick sarebbero perfetti per ricoprire il ruolo del salvatore della patria, ma non è questo che interessa a Darabont e soci, quanto piuttosto il mettere in rilievo la meschinità e la piccolezza dell’uomo che perfino in situazione così al limite non smette di sorprendere per la sua infinita stupidità. Lo stesso Rick è in fondo il classico padre di famiglia col senso di colpa, per cui l’apocalisse rappresenta la possibilità per rinsaldare i legami familiari, ma sempre più schiacciato dal peso della responsabilità di essere il leader dei sopravvissuti (elemento acuito fin dalla prima puntata della seconda stagione appena arrivata in Italia); Shane Walsh (Jon Bernthal) è l’uomo ferito nel proprio orgoglio maschile che, persa ogni speranza di diventare il punto di riferimento del gruppo dopo l’arrivo di Rick, all’inizio della seconda stagione decide di voler abbandonare i suoi compagni di viaggio; Andrea (Laurie Holden) è invece la donna arrabbiata col mondo che, dopo la tragica morte della sorella, cerca soltanto una veloce via d’uscita da quell’inferno o qualcuno a cui dare la colpa di tutto; Dale (Jeffrey DeMunn), infine, è il presunto “saggio” della compagnia, colui che dovrebbe dispensare consigli e fare un po’ da guida spirituale del gruppo, ma alla fine si rivela più un vecchio alla ricerca di una persona di cui prendersi cura (la trova in Andrea, salvo poi ricevere da lei un arrabbiato invito a “farsi i cazzi suoi”), probabilmente a causa anche qui di sensi di colpa che si trascina dalla precedente vita. Saranno forse anche degli stereotipi, ma sta di fatto che i personaggi di The Walking Dead sono quanto di più normale e terreno possa esistere, schiavi delle proprie debolezze e della visione microscopica che hanno del mondo che li circonda. Gli zombie darabontiani (esteticamente magnifici) fanno solo da contorno a tutto questo, ogni tanto addirittura da semplici comparse.
Sia la prima stagione che l’inizio della seconda sono caratterizzate da poca azione (per lo più concentrata all’inizio degli episodi), ma da una spessa introspezione: tutte le puntate cominciano in modo lento e con molti dialoghi, al fine di farci interagire con i personaggi, creando quell’empatia che permette alle vicende narrate di entrare nelle nostre case e di amplificare il messaggio di condanna che sta alla base della serie tv. Come per Romero, anche per Darabont l’apocalisse zombesca è infatti una conseguenza naturale della scelleratezza umana, dell’egoismo dell’uomo e della sua violenza. Gli zombie darabontiani rappresentano quindi il castigo divino, lo tsunami che cancellerà tutto il male procurato dall’uomo, nella speranza di un anno zero da cui ripartire. 
Il fenomeno The Walking Dead ha trovato terreno fertile anche su internet dove è reperibile un’interessantissima web serie diretta da Greg Nicotero (l’autore dello splendido make-up zombesco della serie tv), in cui si racconta la storia di “torso”, il primo zombie che Rick Grimes incontra una volta uscito dall’ospedale. Un esperimento notevole, girato molto bene, e più sanguinolento rispetto alla versione televisiva.

(Marcello Gagliani Caputo)

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