giovedì 27 ottobre 2011

Fine del mondo in cinque tempi (di Biancamaria Massaro)


Da quando il cinguettare dei passeri ha sostituito il rombo dei motori, la natura ha cominciato a invadere le città. Piante rampicanti già arrivano al primo piano degli edifici e ricoprono automobili ferme da tempo. È da poco passata l’alba quando il fiore apre al sole i candidi petali, mostrando trionfante il suo cuore dorato. È una comune margherita che si è fatta strada tra le crepe dell’asfalto. A causarne la morte non sarà la mano di un bambino che vuole offrirla alla madre, ma il calpestio prodotto da una massa in eterno movimento. Si sposta lentamente, come lenta è stata la fine del mondo.

La dottoressa Irina Sastri salì in ascensore con i colleghi senza guardarsi allo specchio. Non lo faceva più da quando un ragazzino, l’unico rimasto ancora ben educato, le aveva lasciato il posto sull’autobus. Creme costose, palestra e interventi estetici avevano a lungo nascosto l’evidenza, ma ormai doveva arrendersi: stava invecchiando. Glielo ricordavano i giovani amanti di cui si circondava, che ormai solo a pagamento le dicevano che era bella e desiderabile. Era un processo davvero irreversibile? No, come sperava di dimostrare insieme alla sua equipe. Sulle cavie aveva raggiunto già un buon risultato con la rigenerazione cellulare, perciò si poteva passare a un organismo intero. Sicuramente quello di un maiale: per molto tempo infatti non le avrebbero concesso di sperimentare il composto su un essere umano. Irina però non poteva più permettersi di aspettare, voleva liberarsi dalla pesantezza degli anni. Desiderava subito l’occasione di rifarsi una vita, una in cui non avrebbe sacrificato il matrimonio e la possibilità di essere madre in nome della scienza e della speranza di un nobel. Era nauseata dall’elegante attico vista Colosseo, ristrutturato e arredato da un famoso architetto, che ogni sera l’accoglieva freddo e vuoto come un’ospite invadente e indesiderata. Irina non scese a mensa con i suoi collaboratori, così poté iniettarsi il β3T senza che nessuno la vedesse, poi disse che si sentiva male e tornò a casa. Sparsi sul pavimento dell’ingresso c’erano ancora i pezzi dello specchio che aveva distrutto perché le aveva restituito l’immagine di una donna anziana. Il giorno dopo avrebbe scoperto se valeva la pena comprarne un altro.

Il mese seguente il β3T aveva cambiato nome in Rigenera ed era pronto con cinque anni di anticipo a essere lanciato sul mercato esclusivo dei ricchi e potenti della terra. La dottoressa Irina Sastri era stata nell’ordine: licenziata, radiata dall’ordine dei medici, accusata di furto, additata come mostro e allo stesso tempo adorata come una dea, infine riassunta come testimonial dalla stessa società che l’aveva cacciata come ricercatrice. La sua ritrovata giovinezza spiegava infatti più di mille parole gli effetti del nuovo farmaco. Quando era costretta a parlare dei processi metabolici che attivava il Rigenera, Irina abbandonava il linguaggio scientifico che l’aveva accompagnata fin dall’università e spiegava che le cellule giovani si nutrivano di quelle vecchie, eliminandole. Era ospite fissa in molti talkshow dove inevitabilmente qualche suo ex collega le chiedeva se aveva pensato agli effetti collaterali del Rigenera. «Dopo averlo assunto», rispondeva, «si prova un grande appetito e si soffre di una lieve carenza di ferro. Consiglio a chi lo prova di mangiare subito dopo una bella bistecca al sangue e un po’ di verdura fresca». Preferiva nascondere il fatto che da trenta giorni mangiava solo carne cruda e non toccava una foglia di insalata. Non confessò nemmeno che a letto i suoi amanti cominciavano a lamentarsi dell’ardore che dimostrava quando li mordeva a sangue, scambiando per focosa passione ciò che era sempre più simile alla bramosia di carne umana.

Quella sera Irina stava tornando a casa, cercando di schivare i giornalisti che le chiedevano se sperava di essere nella rosa dei candidati al nobel per la medicina. Un tempo le sarebbe importato, ora non più: in cima ai suoi pensieri c’era qualcosa di inconfessabile, qualcosa che, dopo che con un morso aveva quasi staccato il capezzolo sinistro all’ultimo amante, le era costata già una denuncia. Appena uscì dalla macchina tre spari la colpirono alla schiena. «È la fine che meritano i traditori dell’umanità», avrebbero rivendicato sulla loro pagina facebook gli evoluzionisti, dimostrando che la lotta contro il Rigenera che portavano avanti da mesi aveva abbandonato la via pacifica. Nello stesso momento in tutto il mondo altri terroristi cercavano di uccidere i ricchi e i potenti che si erano potuti permettere il Rigenera. Irina sentì il sangue che le bagnava il vestito da sera e capì che sarebbe morta, nonostante l’arrivo quasi immediato dei soccorsi che le tamponarono le ferite e le misero la maschera d'ossigeno. In ambulanza, prima di perdere conoscenza, cercò di gridare che tutte quelle cure non servivano a nulla e che avrebbero fatto meglio a offrirle un po’ di carne cruda. Un'infermiera si accorse che cercava di dire qualcosa, così le tolse la maschera e le si avvicinò per ascoltarla meglio. Ci rimediò un morso che le tranciò di netto il lobo dell’orecchio destro, perciò non pianse quando l’ex dottoressa Irina Sastri fu dichiarata clinicamente morta.

Gli evoluzionisti, programmati come un ordigno letale e perfetto, più o meno simultaneamente avevano colpito politici, tiranni, potenti industriali, magnati del petrolio, maghi della finanza, star del cinema e della canzone e i geni delle nuove tecnologie, tutte persone che si cercò di salvare a ogni costo. Si ricorse anche a metodi non convenzionali quali l’utilizzo del β3Z, una versione potenziata del Rigenera, il cui studio si trovava ancora alle prime fasi sperimentali. Ai media non fu detto che i ricchi pazienti, nonostante si trovassero in uno stato di coma indotto, erano stati legati al letto e forniti di una sorta di museruola perché a volte si risvegliavano e aggredivano medici e infermieri. Intanto sui siti internet che di solito parlavano di cerchi sul grano, Yeti e Atlantide apparve la notizia che, intorno a costose cliniche, erano stati avvistati uomini e donne vestiti con un camice ospedaliero che si muovevano lentamente e azzannavano i passanti. Qualcuno in un blog scrisse che un amico gli aveva raccontato che la fidanzata di un suo cugino aveva visto la dottoressa Sastri aggredire un ragazzo, ma questo era impossibile: la prima donna ad aver provato il Rigenera era infatti morta qualche settimana prima in un attentato, lo sapevano tutti. Nessuno poteva immaginare che il funerale di Irina si era svolto intorno a una bara vuota perché la clinica privata in cui era arrivata l’ambulanza che la trasportava non aveva voluto ammettere di essersi persa un cadavere.

All’inizio le polizie di tutto il mondo decisero di negare gli episodi di aggressione, perciò si pensò che si stesse diffondendo una nuova leggenda metropolitana, quella del Paziente Morsicatore. Insomma, una cosa su cui riderci sopra, almeno finché le persone aggredite cominciarono a essere troppe per poter credere che si fossero inventate tutto. Si sparse poi la voce che, quelle di loro che erano state azzannate alla gola, erano morte o si erano messe a loro volta ad aggredire i familiari. «O entrambe le cose, come mi appresto ad appurare», tentò di scherzarci su Alberto Manni, scettico giornalista che si offrì di cercare qualche vittima di un Paziente Morsicatore e intervistarlo. Anzi, visto che abitava a Roma, avrebbe parlato proprio con Irina Sastri, affamata dottoressa che in molti su internet sostenevano di vedere mentre aggrediva qualche amico o un parente, nonostante il suo corpo fosse stato cremato insieme alla bara dopo lo sfarzoso funerale. La scomparsa di Manni fu considerata una trovata pubblicitaria; quelle dei suoi colleghi, che anche in altre città provarono a emularlo, fu invece attribuita a un primo originale serial killer e ai suoi imitatori. Furono gli evoluzionisti, nelle pagine che ciclicamente riaprivano su facebook, a sostenere che i primi Pazienti Morsicatori erano proprio le vittime dei loro attentati, ovvero coloro che avevano usato il Rigenera perché non volevano invecchiare e nemmeno morire. Il primo loro desiderio era stato esaudito, mentre per il secondo neanche i terroristi ebbero il coraggio di parlare di Zombie. Ben presto non ci fu più tempo per parlarne: bisognava solo correre e combattere. Infine il nulla, solo margherite schiacciate da una massa affamata in eterno movimento.

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