venerdì 29 luglio 2011

Il caso di Yara Gambirasio


L’omicidio di Yara Gambirasio potrebbe essere risolto in tempi brevi se si riuscisse a trovare l’uomo a cui appartiene il DNA presente sui suoi slip. Gli altri tre profili genetici rilevati, di cui uno femminile, sarebbero invece da attribuire a un contatto occasionale.
Sarebbe determinante anche capire quanto sia importante la “polvere di cantiere” – definizione alquanto generica, ma che rimanda al cantiere di Mapello, perciò molto evocativa – ritrovata nei polmoni della ragazza.
Dopo quello di Sarah Scazzi, e prima che si parlasse di quello di Melania Rea, il suo omicidio è tra quelli che più ha interessato l’opinione pubblica nell’ultimo anno.

Yara aveva poco più di tredici anni il 26 novembre 2010, quando è scomparsa da Brembate Alta, in provincia di Bergamo. Era uscita di casa alle 17.00 per recarsi al Palazzetto dello Sport, distante circa settecento metri da dove abitava, e consegnare uno stereo. È certo che Yara sia rimasta all’interno del Palasport fino alle 18.35 circa e che poi si sia scambiata alcuni sms con un’amica. Alle 18.52, quando la madre la chiamò per sapere se stava tornando a casa, il cellulare risultava già spento, né Yara rispose al successivo messaggio del padre: “Dobbiamo preoccuparci?”. I genitori aspettarono ancora un poco che la figlia ritornasse, infine alle 19.45 diedero l’allarme.
Le ricerche iniziarono subito, così come l’interesse di stampa e televisione. A differenza di Sarah Scazzi, fin da subito Yara è stata per tutti una bambina pulita, innocente. Nella vicenda di Avetrana i veri protagonisti erano stati i familiari della vittima; nel caso di Yara è stato subito evidente che non si sarebbe potuto ripetere lo stesso “circo” o “sciacallaggio mediatico”, accuse che gli stessi media si lanciarono tra loro, come se riconoscere la propria colpa – ma sempre riferita alla concorrenza – li legittimasse, il tutto fatto in nome del diritto di cronaca.
I genitori di Yara non hanno accettato di aprire la casa ai giornalisti e vedere la loro vita e quella degli altri figli trasmessa in diretta. Si può dire che l’intero paese di Brembate Alta scelse il silenzio e il riserbo, comportamento che fu messo a confronto con quello opposto degli abitanti di Avetrana, quasi a volerne fare una questione antropologica e politica sul modo diverso di vivere il dolore al nord e al sud d’Italia, per cui i settentrionali hanno incolpato i meridionali di trasformare tutto in una sorta di“sceneggiata napoletana”, per essere poi accusati a loro volta di essere troppo distaccati.

Il 28 dicembre del 2010 Fulvio e Maura Gambirasio decisero di comunicare direttamente con i sequestratori della loro bambina, pronunciando le seguenti parole:
“Noi siamo una famiglia semplice, siamo un nucleo di persone che ha basato la propria unità sull'amore, sul rispetto, sulla sincerità e sulla solarità nel nostro quieto vivere… Noi imploriamo la pietà di quelle perone che trattengono Yara, chiediamo loro di rispolverare nella loro coscienza un sentimento d'amore; e dopo averla guardata negli occhi, le aprano quella porta o quel cancello che la separa dalla sua libertà. Noi vi preghiamo, ridateci nostra figlia, aiutateci a ricomporre il puzzle della nostra quotidianità, aiutate a ricostruire la via della nostra normalità… non meritiamo di proseguire la nostra vita senza il sorriso di Yara.”
La naturale commozione che suscitò il loro appello fu presto sostituita dal sospetto che i genitori di Yara sapessero chi avesse rapito Yara, tutto perché Fulvio Gambirasio gli chiedeva di aprire “quella porta o quel cancello che la separa dalla sua libertà”. Chi odiava i Gambirasio a tal punto da sequestrare una bambina? Lo stava facendo per vendetta, per denaro o per invidia?
Visto come si è conclusa la vicenda, si capisce quanto queste domande siano state dolorosamente inutili per la famiglia Gambirasio.

(Biancamaria Massaro)


mercoledì 27 luglio 2011

“La sorellina” di Raymond Chandler: stile, dialoghi e personaggi dell'Hard Boiled

Gli anni trenta e quaranta segnano l'inizio di un cambio di passo rispetto al modo di scrivere gialli della cosiddetta Golden Age (Conan Doyle, Christie, Van Dine, Wallace ecc.). In particolare, in America, Dashiell Hammett (quest'anno sono cinquanta senza di lui, sigh!) e Raymond Chandler impongono una svolta in termini di stile e di contenuti. Si scrive in modo più diretto, con meno fronzoli, e nelle loro storie il piombo sostituisce le celluline grigie. Altro modo di vedere il delitto. E la detection.
Chandler, in particolare, nel 1949 ci regala un libro che ritengo un piccolo gioiello di quell'epoca. Forse più mite, meno violento di altri, La Sorellina (Little Sister) ci narra la vita di Hollywood, le sconcezze del mondo del cinema e del teatro, imponendo a Philip Marlowe un'indagine in un contesto di sesso, soldi, malinconia e rancori. L'Hard Boiled nell'accezione più corrotta e intimista.
Chandler apre nel modo più Marlowiano possibile, così:
“Sul vetro smerigliato della porta è scritto a lettere nere, un po' scrostate: Philip Marlowe... Investigatore. È una porta passabilmente scalcinata, in fondo a un corridoio passabilmente scalcinato in un edificio che era nuovo pressapoco nell'anno in cui le stanze da bagno a tutte piastrelle son diventate la base della civiltà. La porta è chiusa a chiave, ma vicino ce n'è un'altra che non lo è. Venite pure avanti... non disturbate, ci siamo solo io e un grosso moscone iridato. Ma non entrate, se siete di Manhattan, Kansas.”
Raymond Chandler già scriveva per il cinema e si vede. In queste poche parole c'è tutto Marlowe, non solo nelle immagini che evoca nel lettore. C'è la narrazione in prima persona. C'è la provocazione (“Venite pure avanti... non disturbate”). C'è l'immagine decadente dell'America del proibizionismo e del post-proibizionismo, del dopoguerra dei sogni e delle prime miserie.
La sorellina è ambientato, come detto, nel mondo di Hollywood. O lì vicino.
Sparisce una persona. Non è la sorellina del titolo. È suo fratello. Almeno all'inizio. Poi non si capisce più chi si è perso, chi si è trovato e chi è stato ammazzato. Si rimane in balia di Marlowe. In balia e in compagnia. Gangsters, medici corrotti, pazzi, attrici provocanti, prostitute, alcolizzati, droga, corruzione. Meno famoso de Il Lungo Addio (1953) e Il Grande Sonno (1939), meno noir di tutti gli altri romanzi della produzione Chandleriana, La Sorellina è forse la storia in cui esce di più l'anima di Philip Marlowe, e solo per questo va letto.
Lo stesso Chandler marca una differenza rispetto alla sua produzione, con questo libro. Nel 1948 ne parla con l'editore Hamish Hamilton, e dice: “Il problema è che in questa storia non c'è altro che stile, dialoghi e personaggi”. L'autore di Chicago è molto critico sulla trama. Sempre con Hamilton: “La storia ha dei punti deboli. […] Come noir è un po' troppo complicato, ma come storia di persone è molto semplice. […] Ci sono angoscia e suspense, che stanno tutte nella scrittura.”
Il risultato, in realtà, è particolarmente potente. Il libro scorre veloce e il lettore si lascia accompagnare da Philip Marlowe in una sequela di eventi e di personaggi che ancora oggi dettano gli stili della letteratura contemporanea di genere.

(Cristian Fabbi)

lunedì 25 luglio 2011

Sylvia noir


“A me piacciono le affermazioni nere”.
Dopo aver vissuto la morte, Sylvia inizia una danza magica (e macabra) con l’universo oscuro del doppio, il suo doppio.
È l’ombra che la incatena, la chiude al mondo e, in essa, il poeta smarrisce il sé, perde sostanza, diviene a sua volta etereo, ineffabile, nel disordine creato dal continuo scambio dell’io che, lei, confonde con la morte.
Quasi fosse la morte il suo doppio.
Così s’allontana, incerta, inceppata in quel mondo piccolo e troppo chiaro, netto, che l’acceca e che sente estraneo. Così precipita, credendo d’innalzarsi, in un mondo poetico che risponderà solo della morte, dell’oscurità, delle ombre, di ciò che ai più è celato, nascosto... e che lei vorrebbe portare alla luce.
Fallisce, perché la poesia non si fa guidare e lei è troppo intelligente per pensare di averne chiarito i misteri. Dunque, si rifugia nell’ossessione della perfezione, cercando l’ultima chiave possibile; infine, abbandonato ogni compromesso, diviene scura, cattiva, malvagia e pronta ad affrontare il poeta nascosto fra i rami dell’Olmo.

Elm

...
Nightly it flaps out
I am inhabited by a cry.
Looking, with its hooks, for something to love.

I am terrified by this dark thing
That sleeps in me;
All day I feel its soft, feathery turnings, its malignity.

...

Its snaky acids hiss.
It petrifies the will. These are the isolate, slow faults
That kill, that kill, that kill.

Olmo

Esce di notte svolazzando
Quel grido dentro me
A cercare, con gli artigli,qualcosa da amare

...

Sono terrorizzata da questa cosa oscura
Che dorme dentro me;
Tutto il giorno avverto la sua morbida, pennuta malignità.

...

Il suo sibilare acido strisciante
Pietrifica la volontà. Sono le colpe staccate e pigre
Che uccidono, che uccidono, che uccidono.

(Trad. Cristiana Morroni)

Colpe d’amore, ombre, acido e forme oscure. Sylvia soffre la realtà, ogni vincolo la soffoca, la strazia, suo padre è imperdonabile, l’ha fatta ammalare, poi è morto. Nella disperazione dell’irrisolto, con terrore gli permette una resurrezione per ucciderlo ancora, questa volta di sua stessa mano, con un palo ficcato nel cuore.

Daddy

...

The vampire who said he was you
And drank my blood for a year,
Seven years, if you want to know.
Daddy, you can lie back now.

There’s stake in your fat black heart
And the villagers never liked you.
They are dancing and stamping on you.
They always knew it was you,
Daddy, daddy, you bastard, I’m through.

Papà

...

Quel vampiro disse di essere te,
E bevve il mio sangue, per un anno intero
Per sette, se proprio vuoi saperlo
Papà, non puoi più tornare indietro.

C'è un palo nel tuo grasso cuore nero
Non ti hanno amato mai gli abitanti del Villaggio.
Danzano, ora, calpestandoti con i loro piedi
Hanno sempre saputo che eri tu
Papà, papà, bastardo, ho finito.

(Trad. Cristiana Morroni)

Prodromo dell’amore tragico che con Ted Hughes è arrivato. Dell’amore assoluto e potente che farà di lei una poetessa immensa rendendo immortale la sua voce.
Ted è andato via, la poesia è arrivata.
Sylvia ora è della poesia. È la poesia.



ARIEL

Stasis in darkness
Then the substanceless blue
Pour of tor and distances.

God’s lioness,
How one we grow,
Pivot of the heels and kness!
___ The furrow

Splits and passes, sister to
The brown arc
Of the neck I cannot catch,

Nigger-eye
Berries cast dark
Hooks___

Black sweet blood mouthfuls,
Shadows,
Something else

Hauls me through air____
Thighs, hair;
Flakes from my heels.

White
Godiva, I unpeel_____
Dead hands, dead stringencies.

And now I
Foam to wheat, a glitter of seas.
The child’s cry.

Melts in the wall
And I
Am the arrows.

The dew that flies
Suicidal, at one with the drive
Into the red

Eye, the cauldron of morning.


ARIEL

La stasi nelle tenebre
Poi il blu senza sostanza
In caduta rocce e distanze

Leonessa di Dio
Così come sei cresciuta
Perno di talloni e ginocchia
____Il solco

Divide e trapassa, sorella
L'arco bruno
E il collo che non posso afferrare

Occhio di negro
Bacche gettano al buio
Uncini_____

Nero bocconi, sangue dolce
Ombre
qualcos'altro

Mi trascina nell'aria
Cosce, capelli;
Scaglie dai miei talloni

Bianca
Godiva, io senza veli
Mani morte, morte limitazioni.

E ora, io
Schiuma di grano, luccichio di mari
Il pianto di un bambino

Si scioglie nel muro
E ora, io
Sono le frecce

La rugiada che vola
Suicida, tutt'uno con la punta
Nell'occhio

Rosso, il calderone del mattino

(Trad. Cristiana Morroni)



(Cristiana Morroni)


giovedì 21 luglio 2011

Survivor, di Chuck Palahniuk: la scrittura del paradosso


Preghiera per ritardare l'orgasmo
Preghira per perdere peso

Preghiera per rimuovere le macchie di muffa

Preghiera per prevenire la caduta dei capelli
Preghiera per indurre l'erezione
Preghiera per il silenzio dei cani che abbaiano

Preghiera per il silenzio degli allarmi delle auto
Preghiera per evitare di pagare il parcheggio
Preghiera per le perdite delle tubature
Preghiera per aumentare la sensibilità vaginale

Preghiera contro l'eccessiva sudorazione

Preghiera per torvare la lente a contatto perduta

Queste sono solo alcune delle preghiere di Tender Branson, ultimo sopravvissuto al suicidio di massa di una setta religiosa americana. L’ultimo dei Creedish, Tender si trasforma, grazie a un agente spregiudicato a caccia di soldi, da umile domestica a famoso predicatore multimediale. Tender non sceglie. Che sia domestica o predicatore è abituato a seguire le indicazioni impartitegli dalla setta, dagli abitanti ricchi della casa presso cui presta servizio, dal suo agente spregiudicato. Tender rappresenta il ragazzo cresciuto alla scuola dell’ipocrisia di una società che si mostra perfetta.
Palahniuk a riguardo ha commentato: “I libri non sono mai quello che si pensa che siano. Survivor rappresenta davvero il nostro sistema educativo. Troppo spesso avverto come la sensazione che i bambini siano formati nel miglior modo possibile per essere solo degli ingranaggi di una grande macchina aziendale, ma non in modo da creare loro stessi la propria di azienda. Essi non saranno mai autonomi, possono arrivare a essere solo buoni impiegati.”
Palahniuk con il suo romanzo fa inceppare qualcosa in questo meccanismo ben oleato.
Survivor
incrina il sistema del pensiero ordinario.
Un uomo solo alla cloche di un Boeing 747 sta registrando un lungo messaggio sulla scatola nera del volo 2039 prima di lanciarsi in una folle picchiata suicida sulle coste dell’Australia.
Ė la storia della presa di coscienza di Tender raccontata al contrario, dalla fine, secondo quanto Chuck stesso afferma nel suo “The 'Quilt' Versus the Big 'O'”. La forma definita da Chuck come “the Big O”, è ciò “(…) che Fitzgerald ha impiegato per il Grande Gatsby e che Capote ha usato per Colazione da Tiffany. È una forma classica di trama che io ho usato per Fight Club perché è facile da impostare e seguire. Si inizia alla fine o alla crisi della storia.”
Ė un’interpretazione rovesciata del sogno americano quella che prende vita nelle pagine di Survivor. Solo che, in virtù dell’Arte Maledetta di Palahniuk, questo sogno diviene una sorta di incubo assurdo.
Ma quali sono le componenti di questa scrittura del paradosso? Cosa rende così assurdo e al contempo così godibile questo romanzo?
Nel 2007, Palahniuk scrisse diversi saggi; in uno di questi si parla dell’Assurdità: “Come compito a casa, scrivi la tua versione di “My Life with R.H. Macy” e di “Dusk e These Fierce Pajamas”. Prova a delineare un ambito, a descrivere una cornice di un sistema sociale complesso, un lavoro, una struttura burocratica stratificata. Scrivi successivamente un secondo racconto impiegando il sentimento di delusione per accelerare qualcosa, fallo crescere progressivamente fino a farlo esplodere nell’assurdo. Impiega malattia o droghe o sonniferi o privazione come “device”, come strumento, un qualsiasi elemento di stress che possa degradare la sanità mentale del tuo narratore fino a caricare il racconto di eventi ordinari tali da fargli assumere un peso profondo e drammatico. Ricordati di entrare subito nella storia, come un pezzo punk.”
In Survivor si mantiene lo stile letterario Pulp caratterizzato dalla ridondanza di aggettivi e avverbi, proprio adesso che gli autori non sono più pagati un tanto a parola come nei vecchi e sgargianti magazine di genere, allo scopo di dare vita a una narrazione densa di segni e amplificata dai simbolismi, così come Chuck descrive nei suoi saggi. O meglio, non intendo dire che il suo editore lo paghi un tanto a parola come avveniva con i vecchi scrittori Pulp. La finalità è raggiungere l’assurdo, trasformare le vite monotone di tanti ingranaggi obbedienti in una rappresentazione oscura e grottesca o per svelare l’assurdo che è celato dietro la vita ordinaria. In quest’arte del paradosso si legge tutto il nero del nostro quotidiano. Chuck crea un personaggio che rappresenta una chiave interpretativa della realtà moderna.
Tender Branson è l'ultimo di una setta religiosa ed è stato educato per servire qualsiasi individuo che intenda esercitare su di lui il proprio arbitrio.
Ma come si innesca questo processo? La risposta che è nel libro sembrerebbe quella più comune ma in questo contesto risulta volutamente assurda, sinistra, e viene impiegata da Palahniuk in modo molto provocatorio: “Il miglior modo di conservare un lavoro è fare quello che ti chiedono.”
E ancora istruzioni e dedizione assoluta: “Il miglior modo per cancellare macchie di sangue dal bagagliaio di una macchina è di non fare domande in proposito (…) per ostinate macchie basico-proteiche, come lo sperma, provate a risciacquare con acqua salata fredda, poi lavate come al solito. Questo lo si può considerare apprendimento durante il lavoro.
Sentitevi liberi di prendere nota.”
Ma ecco, tra le righe delle nozioni e del lavoro instancabile compare l’umanità di Tender, il tarlo della consapevolezza che progressivamente lo autodetermina. Salirà su quell’aereo per raccontare al mondo la storia dei tanti Tender, dall’ultimo dei Creedish, alla domestica, al predicatore e la sua storia è il racconto di un ragazzo come tanti, soffocato dalle maglie della società. Prenderà quell’aereo. Anzi lo ha già preso.
“Ogni volta che pulite una macchia, un pesce, una casa, vi convincete che state rendendo il mondo un luogo migliore, ma state solamente lasciando che le cose peggiorino. Pensate che forse, lavorando duro e velocemente, potrete riordinare il caos, ma poi un bel giorno state cambiando la lampadina nel patio con una lampadina che dura cinque anni e realizzate che potrete cambiare quelle lampadine forse altre dieci volte e poi sarete morti. Il tempo scorre implacabile. Non avete più l’energia di sempre. Comincia la parabola discendente. Cominciate a cedere.”

(Luigi Bonaro)

mercoledì 20 luglio 2011

Il vincitore del Premio Nero Angeli sarà intervistato su Knife n. 2

Mentre si fa sempre più serrata la lotta per la vittoria del Premio Nero Angeli, mettendo il giudizio dei giurati a dura prova, la Redazione di Nero Cafè ha deciso di fare un piccolo regalo all'autore che risulterà uscire vincitore dalla tenzone.
Ciò che lo attende è un'intervista, nel più classico stile nerocafettiano, che verrà pubblicata nel numero 2 di Knife, in uscita a settembre, all'interno della Rubrica Black Mind, in modo tale da dare il maggior risalto possibile all'evento.
Inoltre, si tratta di un'opportunità in più per gli amici di Nero Cafè che avranno così modo di conquistarsi un posto di prestigio sulla rivista.
Ricordiamo infatti che nella Rubrica Black Mind sono stati ospitati autori del calibro di Barbara Baraldi, Marilù Oliva, Carlo Lucarelli e Danilo Arona.
Restate sintonizzati.
Il conto alla rovescia è iniziato.
I nodi vengono al pettine.
Le scelte fatte.
Tra poco tempo saprete Chi sarà il fortunato.
Tic tac.
Tic tac.





lunedì 18 luglio 2011

Tra cronaca e rito: la saponificatrice di Correggio a teatro secondo Lina Wertmüller

Leonarda Cianciulli non ha bisogno di presentazioni per gli appassionati del mistero. La saponificatrice di Correggio, così come fu soprannominata durante il processo, rappresenta senza dubbio una delle figure più famose d’Italia nell’ambito della cronaca nera. Nata in Irpinia, a Montella per la precisione, la Cianciulli si trasferì, dopo un’infanzia molto difficile che la vide protagonista di diversi tentativi di suicidio, a Correggio, vicino Reggio Emilia, a seguito del terremoto che colpì nel 1930 Campania, Puglia e Basilicata. Allo scoppio del secondo confitto mondiale, nel 1939, il maggiore dei tre figli maschi, Giuseppe, viene chiamato al fronte. È da questo momento probabilmente che Leonarda intraprende la sua attività di saponificatrice. Chiede infatti grazia alla Vergine e si adopera in sacrifici umani per avere salva la vita dell’amato figlio. Tre sono le vittime accertate: Faustina Setti, Francesca Soavi e Virgina Cacioppo, tutte e tre fatte a pezzi e, quindi, trasformate in sapone con della soda caustica. Arrestata e dichiarata parzialmente inferma di mente, a seguito della perizia del lombrosiano Filippo Saporito, viene rinchiusa in manicomio, dove morirà, in quello di Pozzuoli, nel 1970. La storia, qui raccontata per grandi linee, rappresenta, come detto, uno dei casi di cronaca nera più noti della storia italiana recente e come tale è stata ripresa nell’ambito della cultura popolare in canzoni, nonché in opere cinematografiche e teatrali. Se Gran Bollito (1977) di Mauro Bolognini è un lavoro abbastanza noto al grande pubblico, con Shelley Winters nel ruolo della saponificatrice e tre attori maschi (Renato Pozzetto, Alberto Lionello e Max Von Sydow) nei panni delle tre vittime, meno famoso è l’adattamento teatrale della vicenda diretto da Lina Wertmüller, Amore e magia nella cucina di mamma con Isa Danieli protagonista. Come è possibile leggere nel programma di sala della messa in scena per il Festival dei Due Mondi di Spoleto, nel 1979, si tratta di una commedia nera, che ripercorre la storia di Leonarda Cianciulli in chiave altamente grottesca, come ci si aspetta, in effetti, da una regista come la Wertmüller.

La Wertmüller parte dal fatto di cronaca e crea uno spettacolo unico in cui da un interno piccolo-borghese, quale era d’altronde l’ambientazione della pellicola di Bologninisi passa ad un mondo pieno di riferimenti antropologici. Questo aspetto appare chiaro dall’impostazione scenografica voluta da Enrico Job, che realizza una specie di cerchio magico in cui si erge un potente e spettrale albero. Ci troviamo, quindi, di fronte a riferimenti ancestrali e stregoneschi che fanno sin da subito pensare al famoso noce di Benevento e a tutte le leggende ad esso legate. Lo scenografo Job realizza una sublime commistione tra elementi folklorici ed altri che richiamano il dramma e il fatto di cronaca, non dimenticando di ricreare il luogo di lavoro della saponificatrice, ovvero la cucina con i vari utensili.

Ed è la stessa Wertmüller che chiama in causa elementi folklorici e antropologici, vedendo la cucina della saponificatrice quasi come un luogo dove si attuano esperimenti alchemici e nella figura di Leonarda elementi sabbatici e di tarantismo.

Una rilettura, quindi, di uno dei casi di cronaca nera più noti d’Italia fatta quasi alla luce di Sud e Magia di Ernesto De Martino, in cui il realismo lascia spazio ad un rito, quello del sacrificio e della saponificazione, davvero macabro.



(Armando Rotondi)

giovedì 14 luglio 2011

Il caso Sarah Scazzi


Tra poco più di un mese cadrà la prima ricorrenza della scomparsa di Sarah Scazzi. Al momento sembra che a ucciderla siano state la zia e la cugina, mentre lo zio ne avrebbe “soltanto” occultato il cadavere.
Oltre a loro tre, vi sono un’altra dozzina di indagati: Carmine Misseri e Cosimo Cosma, rispettivamente fratello e nipote di Michele Misseri; gli avvocati Gianluca Mongelli, Vito Russo con la moglie Emilia Velletri, (questi ultimi due ex difensori di Sabrina) e Francesco De Cristofaro, (attuale difensore di Michele Misseri), infine Giovanni Buccolieri (il fioraio che ha dichiarato di aver “sognato” Cosima costringere Sarah a salire in auto) insieme a parenti assortiti e amici a cui ha confidato la testimonianza “onirica”.
Sicuramente è un caso che è destinato a offrire nuove sorprese. Magari a settembre, quando riprenderanno gli appuntamenti quotidiani e settimanali delle trasmissioni televisive che se ne sono occupati per una anno intero. Vediamo come.

Sarah aveva 15 anni quando è scomparsa il 26 agosto del 2010 da Avetrana, perciò le mancavano tre anni per essere maggiorenne. L’età anagrafica dovrebbe essere un dato certo e oggettivo e per questo non soggetto a interpretazioni; per i media non è stato così.
All’inizio, quando prediligevano la pista di una fuga volontaria, descrivevano Sarah come una giovane donna moderna alla quale la realtà di un piccolo paesino andava stretta. Ne aveva perfino parlato in un tema della sua voglia di “fuggire al nord”, proprio come aveva fatto il fratello. Non andava più d’accordo inoltre con la madre, Concetta Serrano, rigida testimone di Geova che non le faceva nemmeno festeggiare il Natale come tutti gli altri o collegarsi a internet.
Ma l’intraprendente quasi sedicenne era solita disubbidire alla madre, tanto che aveva ben tre diversi profili su facebook che erano gestiti da alcune sue amiche che aveva autorizzato ad accettare qualsiasi richiesta di amicizia. Un quarto profilo, aperto dal computer della biblioteca comunale di Avetrana, sembrava lo gestisse lei stessa. Lo faceva nascondendosi dietro lo pseudonimo Sarah Buffy, che rimanda alla nota “ammazza vampiri” di una serie televisiva americana di alcuni anni fa, in cui le creature della notte si mischiavano ai teenager molto prima che la giovanissima Bella e l’affascinante e tenebroso succhiasangue Edward si innamorassero nei romanzi di Stephenie Meyer. Di sicuro un fatto simile dimostrava un interesse per l’occulto di Sarah che l’aveva messa in contatto con personaggi ambigui, magari appartenenti a sette sataniche… pista esoterica che fa sempre presa sull’opinione pubblica, tanto da essere scomodata anche per il caso di Cogne.
E così, mentre la madre ripeteva che la figlia non si sarebbe mai allontanata di sua volontà e che perciò era stata rapita, stampa e televisione cercavano di convincerci che Sarah aveva preso la decisione di diventare adulta prima del tempo e abbandonare la casa materna.
Solo ai primi di ottobre i fatti avrebbero dimostrato che sua madre aveva ragione.

Il 6 ottobre, Concetta Serrano, partecipando su Rai Tre a una puntata di Chi l’ha visto? venne a sapere in diretta che il corpo della figlia era stato ritrovato in un pozzo in cui non era potuta cadere da sola. Mentre, il giorno dopo, gli altri media, probabilmente con un po’ di invidia per gli ascolti raggiunti, demonizzavano la trasmissione per aver spettacolarizzato un delitto tanto atroce e averci speculato sopra, ci fu quella che allora sembrò la svolta definitiva sul caso.
Il 7 ottobre Michele Misseri confessò infatti di aver strangolato Sarah Scazzi, la nipote, nel garage della sua abitazione e di averne occultato il corpo. Aggiunse anche un particolare agghiacciante, che poi ritrattò: aveva abusato della nipote morta, non essendo riuscito ad averla in vita. Date le condizioni del cadavere, non è dimostrabile che ciò sia avvenuto davvero, così come non vi sono testimonianze che Sarah nei mesi precedenti al suo assassinio sia stata molestata dallo zio. Mentre l’uomo per tutti diventava “l’orco di Avetrana”, Sarah poco a poco perdeva la veste di “giovane donna” per indossare quelli di “ragazzina”. I media provarono anche a chiamarla “bambina”, ma poi si resero conto che per una quindicenne della generazione di Sarah era un po’ troppo. Per esaltarne la virginale innocenza, per riferirsi a lei hanno allora imparato a ricorrere a evocativi giri di parole come “un angelo a cui hanno precocemente spezzato le ali”.
Avrebbero presto avuto la possibilità di spostare l’attenzione sulla vita e la tragica fine di una bambina a tutti gli effetti, la tredicenne Yara Gambirasio, non prima però di creare due “mostri”: oltre al già citato zio-orco, Sabrina Messeri, la cugina-strega, una coppia sulle cui colpe e complicità si parlerà ancora a lungo, anche dopo che una sentenza definitiva avrà stabilito le responsabilità ufficiali.
Finché si sperava che Sarah fosse ancora in vita, le famiglie Scazzi e Misseri erano rimaste unite nel dolore, pur avendo un rapporto diverso con i media. Concetta Serrano si prestava alle telecamere solo per pretendere la verità sulla figlia, rifiutando che fosse liquidata coma una fuga e che gli inquirenti smettessero di occuparsene troppo in fretta. Venne definita fredda, quasi gelida, perché non piangeva e non voleva aggiungere molto altro, mentre all’inizio l’opinione pubblica quasi si commosse di fronte alle lacrime di Michele Misseri che, sconvolto per aver ritrovato “per caso” il telefonino della nipote, si disperava per la sorte della ragazza e ne ricordava la dolcezza e il fatto che fosse per lui un’altra figlia. Il suo comportamento durante l’intervista fu poi analizzato nei minimi particolari in diverse trasmissioni televisive, evidenziando come piangesse a comando e quanto fosse diabolico e pianificatore.
Quando poi Misseri chiamò in correità Sabrina, rivelando che era stata lei a uccidere la cugina, le stesse trasmissioni descrissero Misseri come un debole succube della forte personalità della figlia che l’aveva costretto a occultare il cadavere e a difenderla. Allo stato attuale sembra che sia stato succube soprattutto della moglie, ma è ancora prematuro stabilire come si siano svolti realmente i fatti. Rimane il corpo di una ragazza assassinata, una madre che chiede giustizia, tre presunti colpevoli che si scaricano addosso veleni e responsabilità e la morbosa curiosità dell’opinione pubblica alimentata dai media che, seppur non più quotidianamente, continuano a parlarne.


(Biancamaria Massaro)


mercoledì 13 luglio 2011

Hanna, di Joe Wright (news e trailer)


Hanna (Saoirse Ronan) è una ragazza adolescente. Ha la forza, la resistenza e l'intelligenza di un soldato, caratteristiche che provengono dal fatto di essere stata allevata dal padre (Eric Bana), un ex agente della CIA, nelle zone selvagge della Svezia. Vivendo una vita diversa da qualsiasi altra adolescente, la sua educazione e la sua formazione sono state la stessa cosa, tutte orientate a renderla la perfetta assassina.
Il punto di svolta nella sua adolescenza avviene velocemente; inviata nel mondo del padre in una missione, Hanna viaggia furtivamente in tutta Europa, eludendo gli agenti mandati al suo inseguimento da agente segreto dalla spietata intelligenza che ha dei segreti (Cate Blanchett). Mentre si avvicina il suo obiettivo finale, Hanna affronta delle sorprendenti rivelazioni circa la sua esistenza e le domande sulla sua inattesa umanità.

Il film è stato distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi l'8 aprile 2011, a cura della Focus Features. In Italia la pellicola verrà distribuita dalla Sony Pictures a partire dal 12 agosto 2011.
Dopo Espiazione, Saoirse Ronan e Joe Wright tornano a lavorare di nuovo insieme nel film Hanna, un thriller d'azione girato in Baviera, a Berlino, in Marocco e allo studio Babelsberg (Germania) che il prossimo anno celebrerà il suo centesimo anniversario.

Wright: "Mi sono ispirato a David Lynch"
In un'intervista con Film School Rejects, Wright ha ammesso di essersi ispirato a David Lynch lavorando a Hanna: “Ho sempre amato David Lynch, da quando ho visto Velluto blu quando avevo quindici anni. Ho pensato che fosse il più magico e straordinario film che avessi mai visto e poi ho recuperato e visto Eraserhead e The Elephant Man. Non ho mai potuto inserire queste influenze [nei miei lavori precedenti] perché David Lynch non è appropriato per Orgoglio e Pregiudizio, ma [Hanna] è stata un'opportunità per farlo”.

Un film difficilmente catalogabile
Secondo Wright Hanna non è il tipico film d'azione: “È una favola, un film d'azione, un dramma... È molto difficile da descrivere come film e penso che sarà abbastanza difficile anche per il dipartimento di marketing. Se lo dipingono troppo come un film d'azione, la gente non avrà quello che vuole. Penso che dovranno essere attenti in quell'aspetto”. Per quanto riguarda l'aspetto “favolistico” del film Wright ha aggiunto: “C'è un atmosfera che è in qualche modo surreale, che viene dal subconscio. Come avviene nelle favole, i protagonisti devono confrontarsi con degli archetipi e i personaggi del film a loro volta sono molto simili a dei prototipi. Eric Bana è un padre forte come il falegname e il personaggio della Blanchett è molto simile a una strega malvagia, indossando il rosso e il verde. C'è un'oscurità in queste favole che ho sempre apprezzato”.

La colonna sonora dei Chemical Brothers
La colonna sonora del film è stata composta dai Chemical Brothers. Durante il pannello di Hanna al New York Comic-Con, Wright ha spiegato di aver voluto la band affinché fornisse al film una colonna sonora dal ritmo più moderno rispetto a quello classico usato nelle sue pellicole precedenti. Si tratta della quarta colonna sonora, composta nell'ultimo anno, realizzata da band elettroniche: i Phoenix per Somewhere, i Daft Punk per Tron: Legacy e Trent Reznor dei Nine Inch Nails per The Social Network. Che stia nascendo un nuovo trend?





Fonti:
http://www.mymovies.it/
http://it.wikipedia.org/

lunedì 11 luglio 2011

Stray Toasters di Bill Sienkiewicz (Edizioni BD)


“Qualcuno l’ha aggredita con un trapano… bucandole gli occhi, per innestarci cavi elettrici, come fosse una macchina. Poi ha inserito la spina e… ZAP. Andati i fusibili. L’amico ha invertito due cavi purtroppo. Magari poteva anche funzionare. Una cosa alla Frankenstein.” “Funzionare? E come? Da abat-jour?”
Egon Rustemagik è uno psicologo criminale, incline al bere e con un passato da paziente di clinica psichiatrica. Quando verrà chiamato per indagare su alcuni strani omicidi, si ritroverà faccia a faccia con la psicologa Abigail Nolan, suo vecchio amore, con la squilibrata e bellissima Dahlia, fiamma del suo presente, e con l’ossessionante ricordo di Mona, figura misteriosa di un tempo lontano.

Tra psicologhe sado-maso, diavoli in vacanza sulla Terra, avvocati perversi, elettrobimbi, dottori blu e inquietanti creature meccaniche, Stray Toasters è un giro sulle montagne russe della follia, un delirio letterario e figurativo in cui bisogna lasciarsi trasportare, godendo della potenza e dell’inventiva visiva di Bill Sienkiewicz.
Stili e tecniche differenti continuano ad alternarsi non solo tra una pagina e l’altra, ma anche all’interno della stessa pagina. Disegni, dipinti e collage si danno il cambio instancabilmente, in un lavoro che può ricordare per affinità un altro grande maestro come Dave McKean.
L’infanzia e i difficili rapporti famigliari sono al centro dell’opera: “Il circolo di una famiglia è un triangolo. E i triangoli hanno gli angoli acuminati.”
La lettura non è sicuramente semplice; ogni pagina è densa all’inverosimile di significati e significanti; la trama contorta e alcuni intermezzi apparentemente fuori luogo possono far desistere i lettori che hanno bisogno di avere i piedi ben saldi a terra. Per tutti gli altri, la lettura sarà un viaggio emozionante e scioccante allo stesso tempo.
Non si può non rimanere deliziati dalle chicche che appaiono una pagina dopo l’altra, come la trasmissione culinaria “La fisica è servita” di Ellen Einstein, o la nota sulla cartella del Dottor Violet: “Il bambino calvo (quello con il cane parlante) dei fumetti è encefalitico, affetto da leucemia o qualcos’altro del genere? Accertare.”
Sarà facile perdersi nella prima metà del volume, ma quando gli innumerevoli nodi creati da Sienkiewicz inizieranno a sciogliersi e le tessere del puzzle si andranno a ricomporre, sarà altrettanto facile rimanere irretiti dal tesissimo finale.

L’opera risale al 1988, è stata pubblicata per la prima volta in Italia nell’89 e accolta dal pubblico di allora con una certa freddezza. Grazie a Edizioni BD è stata ripubblicata nel nostro paese nel 2010, in un’ottima veste editoriale.
Molto interessante anche la post-fazione all’edizione italiana, scritta da Fabio Licari, con foto realizzate da Diego Cajelli su materiale della collezione privata di Francesco Bazzana, da cui cito: “in quel lontano 1989 io e tutti gli altri, rimasti un po’ perplessi dall’apparizione di Stray Toasters, eravamo soltanto al passo con i tempi. Era Sienkiewicz avanti almeno vent’anni.”

Il pacato giudizio sull’opera da parte di chi vi scrive è: imperdibile.

(Marco Battaglia)



venerdì 8 luglio 2011

Tu sei il male, di Roberto Costantini (vinci una copia del libro)

In occasione della prossima uscita, il 7 settembre, di Tu sei il male di Roberto Costantini, un thriller d'esordio che è già un caso editoriale internazionale, in corso di traduzione nei maggiori paesi europei e opzionato per il cinema prima ancora della pubblicazione, Marsilio organizza, dall’11 al 30 luglio, un gioco su Facebook che permetterà ad alcuni fortunati lettori di vincere una copia dell'attesissimo romanzo. E quale tema più adatto, per un thriller che si candida a essere uno degli eventi letterari dell'autunno, di un quiz sulla storia della letteratura poliziesca?

Tutti gli appassionati di gialli e noir, amanti di Raymond Chandler e Giorgio Scerbanenco, Jean-Claude Izzo e Stieg Larsson, James Ellroy e Agatha Christie, devono solo iscriversi alla pagina Facebook di Tu sei il male, e potranno provare ad aggiudicarsi una copia omaggio dello straordinario thriller di Roberto Costantini.

Ambientato a Roma negli anni tra il 1982 e il 2006, primo volume di una trilogia con protagonistaMichele Balistreri, carismatico commissario di Polizia dal passato oscuro e turbolento, Tu sei il male, ha già conquistato estimatori eccellenti come Giancarlo De Cataldo, e ad aprile è stato uno dei titoli più caldi della Fiera del Libro di Londra, capace di convincere alcuni dei più importanti editori dei principali paesi europei che si sono affrettati ad acquistarne i diritti di traduzione: Presses de la Cité in Francia, Grijalbo in Spagna, Gyldendal in Norvegia, il colosso editoriale Bertelsmann in Germania e in Gran Bretagna Quercus, l'editore inglese di Stieg Larsson.

Le istruzioni per partecipare al gioco sul blog Marsilio: http://blog.marsilioeditori.it/2011/07/06/gioca-e-vinci-una-copia-di-tu-sei-il-male-su-facebook/

La pagina Facebook di Tu sei il male: http://www.facebook.com/tuseiilmale

La scheda del romanzo sul web: http://www.marsilioeditori.it/component/marsilio/libro/3170976-tu-sei-il-male

giovedì 7 luglio 2011

Uomini e Spettri


GLI AUTORI E LE OPERE

Una madre e una figlia di Antonino Alessandro, Pioggia di Marco Caudullo, Legami di Simone Corà, Il buio è dentro di me di Daniele Picciuti, Quando ritornano di Matteo Poropat, Presto, molto presto di Floriana Niobe Puccini, I cuori di Flora di Francesco Rago, Il volo delle falene di Nicola Roserba, Lucifero in provetta di Francesco Stefanacci, La bella lavanderina di Andrea Viscusi

A CURA DI
Alex Visani
______________

Uomini e spettri è una raccolta di storie che narrano fondamentalmente dell’inconscio umano. Le storie ripropongono al lettore la tematica del dubbio e della variazione sul tema della razionalità, il fallimento dell’ordine concettuale di fronte a un fitto universo simbolico denso di relazioni, troppe perché si possa ignorarle.
E questi racconti narrano tutti di una impercettibile flessione all’interno del vissuto quotidiano, di quello “strato” di realtà, come scrive Remo Scienza - il personaggio di Daniele Picciuti - nel suo diario, “più denso e all’apparenza invisibile, che se osservato attentamente si fa di colpo nitido.”
I racconti contenuti in Uomini e Spettri sono rivelazione e rappresentazione di ciò che è invisibile, per nostra scelta, della condizione dell’uomo come «animale sospeso fra ragnatele di significati che egli stesso ha tessuto» come diceva Max Weber riferendosi alla nostra cultura.
E cultura si trova in queste pagine, ma anche recupero di radici ancestrali, sepolte dall’uomo moderno, tradizioni lasciate indietro nell’ansia della modernità di una società che è riuscita a cancellare addirittura la morte.
La lettura di questo volume si potrebbe quasi definire un viaggio iniziatico verso la scoperta del sé dimenticato. In questo senso, i racconti, al di là del piacere che si possa provare nel leggere buona letteratura, si configurano come un canale interpretativo dello strato sottostante al nostro sistema logico-culturale, come una specie di medium che, riconsiderando volutamente la riscoperta degli archetipi dell’oscurità, li rende nuovamente visibili in virtù di un oscuro misticismo e della rimozione del principio di non contraddizione nella relazione soggetto/mondo e in quella naturale/sovrannaturale.
Il sovrannaturale emerge prepotente raffigurato nel Monstrum che uccide l’incredulità e rende giustizia all’interiorità dell’individuo. Mediante la narrazione si arriva infatti a una percezione deformata, amplificata, degli elementi comuni della vita attraverso una trasformazione “alchemico-letteraria” del naturale in culturale, dell’inconscio nella sua mostruosa rappresentazione.
La pietra filosofale di questi scrittori alchimisti è costituita dall’utilizzo di un codice letterario maledetto che instaura un legame differente tra i diversi segni e i loro referenti, e viene da loro impiegato con rara maestria al fine di offrire al lettore la meravigliosa manifestazione di una realtà prodigiosa, allegoria di ciò che è, bello o brutto che sia, in tutti noi. Da questo scaturisce l’oscuro fascino che anima le pagine di questo meraviglioso volume.
Ė facile categorizzare come pura invenzione l’universo magico che viene rappresentato in storie come queste prendendone le opportune distanze razionali e relegandone i contenuti alla definizione di letteratura di genere. Riguardo questo atteggiamento riporto un commento di Ludwig
Wittgenstein, tratto dalle sue Note sul "Ramo d’oro": «Frazer dice che è molto difficile scoprire l’errore nella magia – questo è il motivo per cui essa sopravvive così a lungo: per esempio una invocazione che abbia lo scopo di attirare la pioggia prima o poi risulterà sicuramente efficace. Ma allora è davvero strano che gli uomini per tanto tempo non abbiano scoperto che prima o poi piove comunque .[...] Qui si può solo descrivere e dire: così è la vita umana ».

(Luigi Bonaro)


mercoledì 6 luglio 2011

Presentazione di "Uomini e Spettri"


Sabato 9 luglio 2011, a Perugia, la doppia presentazione della raccolta di racconti horror dal titolo Uomini e spettri di AA.VV. (v. scheda).

Sabato 9 luglio 2011, alle ore 18.30, presso lo Spazio Teatrale “Onnivora” di Perugia, in Via Val di Rocca, 50 (zona Ponte Felcino), si terrà la prima presentazione del volume Uomini e spettri di AA.VV., con l’interpretazione di alcuni brani da parte di attori professionisti. La seconda presentazione dell’antologia di racconti horror è prevista invece alle ore 21.30 a Marsciano (PG) in Piazzetta San Giovanni. Gli incontri sono stati realizzati grazie alla disponibilità di Garla Gariazzo e Mauro Celaia, per lo Spazio Teatrale Onnivora, e al supporto dell’Assessore alla Cultura del Comune di Marsciano, Valentina Bonomi. Durante gli incontri interverranno Alex Visani, curatore dell’antologia, e alcuni autori presenti.

“Una madre e una figlia” di Antonino Alessandro, “Pioggia” di Marco Caudullo, “Legami” di Simone Corà, “Il buio è dentro di me” di Daniele Picciuti, “Quando ritornano” di Matteo Poropat, “Presto, molto presto” di Floriana Niobe Puccini, “I cuori di Flora” di Francesco Rago, “Il volo delle falene” di Nicola Roserba, “Lucifero in provetta” di Francesco Stefanacci, “La bella lavanderina” di Andrea Viscusi

In sintesi
Sabato 9 luglio 2011 – Ore 18.30
Spazio teatrale “Onnivora”
Via Val di Rocca, 50
Perugia

Sabato 9 luglio 2011 – Ore 21.30
Piazzetta San Giovanni
Marsciano (PG)

Ingresso libero (buffet)

lunedì 4 luglio 2011

L'intervista, di Stefano Pastor

La cantina.
Lui è in quella cantina.
La consapevolezza arriva a poco a poco. Questo è il luogo dove, per otto mesi, Umberto Raschi ha sfogato i suoi istinti più bestiali, dove otto bambini sono stati uccisi, dove le sevizie, le violenze e le torture erano all'ordine del giorno. I muri sono impregnati di paura e di dolore. Gli sembra che siano accanto a lui, li sente piangere, lamentarsi.
Ha paura di impazzire. Non c'è nessuno, lo sa di essere solo.

Quando ho cominciato a leggere questo romanzo, mi aspettavo delle cose. Conoscendo l'autore per aver letto altri suoi lavori - sempre e solo racconti - mi aspettavo un buon libro. Certamente non mi sarei aspettato, però, di non riuscire a staccare gli occhi dalle pagine.
Sì, perché L'intervista è una storia che cattura, forse per la delicatezza del tema trattato, forse per l'abilità di Pastor nel dipanare lentamente una matassa che all'inizio riesce a tenere aggrovigliata ben bene in modo che non si possa comprendere quale sia la verità nascosta nel passato.
Raccontare qui, ora, brandelli di trama, sarebbe un vero peccato. Rovinerebbe la sorpresa.
Fin dalle prime pagine, infatti, si svelano verità e inganni che porteranno Massimo, il giovane protagonista, a precipitare in una spirale di segreti che ne mineranno la sanità mentale.
Violenze, perversioni, sofferenze, ma anche calore e amicizia, esalano dalle righe di questo romanzo con sfumature a volte crude a volte delicate.
Fra terrore e meraviglia, angoscia e curiosità, la lettura procede spedita capitolo dopo capitolo, fino alla conclusione che, sia pur prevedibile, nulla toglie alla qualità dell'opera. D'altro canto, lo stesso protagonista è conscio di ciò che le sue azioni comporteranno. Il suo cammino, che il lettore vede con chiarezza dove lo porterà, è segnato. Ma lo è in modo cosciente. Vi è una sorta di ineluttabilità in questo libro, di resa di fronte al proprio destino.
Non meraviglia che Pastor abbia vinto, con quest'opera, il Premio Le Fenici 2010.

Dalla quarta di copertina:
A Rocciaverde, un piccolo paese, l'undicenne Davide viene visto salire su un'auto grigia.
Scomparirà per sempre.
Quattro anni dopo Massimo, dodicenne, attore prodigio, arriverà a Rocciaverde per interpretare un film sulla storia di Davide.
Il paese non ha dimenticato, anche se Umberto Raschi, il killer dell'auto grigia, è in carcere. Ma Massimo è un perfezionista, vuole sapere tutto sulla vita di Davide, ogni singolo particolare, parlare con tutti coloro che l'hanno conosciuto.
Una ricerca che lo condurrà in un gioco più grande di lui, e che potrebbe costargli la vita.

(Daniele Picciuti)


domenica 3 luglio 2011

Senza luce, di Luigi Bernardi


Ha fatto bene a insistere perché traslocassero in questo piccolo paese, a una decina di chilometri dalla università dove insegna. In città, per uno che va giù di testa e si mette a sparare all’impazzata, la luce non l’avrebbero tolta. E anche se l’avessero fatto, l’interruzione di energia avrebbe riguardato una zona circoscritta, non come lì dove c’è un’unica cabina che fornisce la corrente a tutto il circondario. È il piccolo paese, non la città, il microcosmo ideale. Solo in un piccolo paese accadono cose che riguardano tutti, solo il piccolo paese è un mondo in miniatura.

Giorni nostri, metà ottobre. In un paese dell’hinterland di Bologna, un anziano squilibrato si mette a sparare dalla finestra, uccide alcune persone e tiene in scacco le forze dell’ordine. A sera inoltrata, la polizia decide di passare al contrattacco e, per disorientare il folle, ordina che venga tolta l’energia elettrica all’intero circondario. In questo quadro – realmente accaduto nel giugno 2005 in un paese dell’Italia settentrionale – si sviluppa la finzione narrativa: cento minuti, quattro storie parallele, tutte segnate dalla mancanza di luce.
Mario, un dirigente comunale, cerca di sedurre Federica, sua vicina di appartamento e ausiliaria del 118. A casa del professor Umberto, lui, la moglie e i due figli affrontano l’emergenza facendo un gioco che travolgerà la stessa coesistenza famigliare. Nel bar di Loretta, nella piazza del paese, ci si industria per continuare a giocare a carte e a biliardo, ma presto e in modo del tutto imprevedibile si dipanerà una storia completamente diversa. Intanto, Domenico, uno scrittore solitario, si prepara a realizzare il suo desiderio più oscuro…

Visita il sito del romanzo e scarica l'estratto qui.

Ascolta l'intervista all'autore da parte di Tommaso Giartosio dal sito Fahrenheit, qui.

Luigi Bernardi è nato nel 1953, a Ozzano dell’Emilia, Bologna. Ha creato e diretto case editrici, riviste e collane di libri e di fumetti. Attualmente è scrittore e consulente editoriale. Ha scritto alcuni libri sui rapporti fra crimine e contemporaneità, fra i quali A sangue caldo (DeriveApprodi, 2001), Pallottole vaganti (DeriveApprodi 2002), Il male stanco (Zona 2003). Come narratore ha pubblicato il romanzo Tutta quell’acqua (Dario Flaccovio, 2004), la trilogia di storie criminali Atlante freddo (Zona, 2006), tre raccolte di racconti Erano angeli (Fernandel, 1998), La foresta dei coccodrilli (Castelvecchi, 1998; Perdisa, 2007), Complicità (Mobydick, 1999), e il libro illustrato Gaijin! (Black Velvet, 2006, con i disegni di Onofrio Catacchio). Per il teatro ha scritto Colpevole (2003), La conta (2005), Gaijin! (2006) e I tempi stanno per cambiare (2007), quest’ultimo insieme a Rosario Palazzolo. Per il fumetto ha sceneggiato Habemus Fantomas (disegni di Onofrio Catacchio, edizioni BD, 2008), prima parte della trilogia Non temerai altro male. Vive e lavora a Bologna, città di cui ha raccontato storie e memoria in Macchie di rosso (Zona, 2002). Il suo sito internet è www.luigibernardi.com.

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Fonte: Perdisa Editore


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