L’omicidio di Yara Gambirasio potrebbe essere risolto in tempi brevi se si riuscisse a trovare l’uomo a cui appartiene il DNA presente sui suoi slip. Gli altri tre profili genetici rilevati, di cui uno femminile, sarebbero invece da attribuire a un contatto occasionale.
Sarebbe determinante anche capire quanto sia importante la “polvere di cantiere” – definizione alquanto generica, ma che rimanda al cantiere di Mapello, perciò molto evocativa – ritrovata nei polmoni della ragazza.
Dopo quello di Sarah Scazzi, e prima che si parlasse di quello di Melania Rea, il suo omicidio è tra quelli che più ha interessato l’opinione pubblica nell’ultimo anno.
Yara aveva poco più di tredici anni il 26 novembre 2010, quando è scomparsa da Brembate Alta, in provincia di Bergamo. Era uscita di casa alle 17.00 per recarsi al Palazzetto dello Sport, distante circa settecento metri da dove abitava, e consegnare uno stereo. È certo che Yara sia rimasta all’interno del Palasport fino alle 18.35 circa e che poi si sia scambiata alcuni sms con un’amica. Alle 18.52, quando la madre la chiamò per sapere se stava tornando a casa, il cellulare risultava già spento, né Yara rispose al successivo messaggio del padre: “Dobbiamo preoccuparci?”. I genitori aspettarono ancora un poco che la figlia ritornasse, infine alle 19.45 diedero l’allarme.
Le ricerche iniziarono subito, così come l’interesse di stampa e televisione. A differenza di Sarah Scazzi, fin da subito Yara è stata per tutti una bambina pulita, innocente. Nella vicenda di Avetrana i veri protagonisti erano stati i familiari della vittima; nel caso di Yara è stato subito evidente che non si sarebbe potuto ripetere lo stesso “circo” o “sciacallaggio mediatico”, accuse che gli stessi media si lanciarono tra loro, come se riconoscere la propria colpa – ma sempre riferita alla concorrenza – li legittimasse, il tutto fatto in nome del diritto di cronaca.
I genitori di Yara non hanno accettato di aprire la casa ai giornalisti e vedere la loro vita e quella degli altri figli trasmessa in diretta. Si può dire che l’intero paese di Brembate Alta scelse il silenzio e il riserbo, comportamento che fu messo a confronto con quello opposto degli abitanti di Avetrana, quasi a volerne fare una questione antropologica e politica sul modo diverso di vivere il dolore al nord e al sud d’Italia, per cui i settentrionali hanno incolpato i meridionali di trasformare tutto in una sorta di“sceneggiata napoletana”, per essere poi accusati a loro volta di essere troppo distaccati.
Il 28 dicembre del 2010 Fulvio e Maura Gambirasio decisero di comunicare direttamente con i sequestratori della loro bambina, pronunciando le seguenti parole:
“Noi siamo una famiglia semplice, siamo un nucleo di persone che ha basato la propria unità sull'amore, sul rispetto, sulla sincerità e sulla solarità nel nostro quieto vivere… Noi imploriamo la pietà di quelle perone che trattengono Yara, chiediamo loro di rispolverare nella loro coscienza un sentimento d'amore; e dopo averla guardata negli occhi, le aprano quella porta o quel cancello che la separa dalla sua libertà. Noi vi preghiamo, ridateci nostra figlia, aiutateci a ricomporre il puzzle della nostra quotidianità, aiutate a ricostruire la via della nostra normalità… non meritiamo di proseguire la nostra vita senza il sorriso di Yara.”
La naturale commozione che suscitò il loro appello fu presto sostituita dal sospetto che i genitori di Yara sapessero chi avesse rapito Yara, tutto perché Fulvio Gambirasio gli chiedeva di aprire “quella porta o quel cancello che la separa dalla sua libertà”. Chi odiava i Gambirasio a tal punto da sequestrare una bambina? Lo stava facendo per vendetta, per denaro o per invidia?
Visto come si è conclusa la vicenda, si capisce quanto queste domande siano state dolorosamente inutili per la famiglia Gambirasio.
(Biancamaria Massaro)
Sarebbe determinante anche capire quanto sia importante la “polvere di cantiere” – definizione alquanto generica, ma che rimanda al cantiere di Mapello, perciò molto evocativa – ritrovata nei polmoni della ragazza.
Dopo quello di Sarah Scazzi, e prima che si parlasse di quello di Melania Rea, il suo omicidio è tra quelli che più ha interessato l’opinione pubblica nell’ultimo anno.
Yara aveva poco più di tredici anni il 26 novembre 2010, quando è scomparsa da Brembate Alta, in provincia di Bergamo. Era uscita di casa alle 17.00 per recarsi al Palazzetto dello Sport, distante circa settecento metri da dove abitava, e consegnare uno stereo. È certo che Yara sia rimasta all’interno del Palasport fino alle 18.35 circa e che poi si sia scambiata alcuni sms con un’amica. Alle 18.52, quando la madre la chiamò per sapere se stava tornando a casa, il cellulare risultava già spento, né Yara rispose al successivo messaggio del padre: “Dobbiamo preoccuparci?”. I genitori aspettarono ancora un poco che la figlia ritornasse, infine alle 19.45 diedero l’allarme.
Le ricerche iniziarono subito, così come l’interesse di stampa e televisione. A differenza di Sarah Scazzi, fin da subito Yara è stata per tutti una bambina pulita, innocente. Nella vicenda di Avetrana i veri protagonisti erano stati i familiari della vittima; nel caso di Yara è stato subito evidente che non si sarebbe potuto ripetere lo stesso “circo” o “sciacallaggio mediatico”, accuse che gli stessi media si lanciarono tra loro, come se riconoscere la propria colpa – ma sempre riferita alla concorrenza – li legittimasse, il tutto fatto in nome del diritto di cronaca.
I genitori di Yara non hanno accettato di aprire la casa ai giornalisti e vedere la loro vita e quella degli altri figli trasmessa in diretta. Si può dire che l’intero paese di Brembate Alta scelse il silenzio e il riserbo, comportamento che fu messo a confronto con quello opposto degli abitanti di Avetrana, quasi a volerne fare una questione antropologica e politica sul modo diverso di vivere il dolore al nord e al sud d’Italia, per cui i settentrionali hanno incolpato i meridionali di trasformare tutto in una sorta di“sceneggiata napoletana”, per essere poi accusati a loro volta di essere troppo distaccati.
Il 28 dicembre del 2010 Fulvio e Maura Gambirasio decisero di comunicare direttamente con i sequestratori della loro bambina, pronunciando le seguenti parole:
“Noi siamo una famiglia semplice, siamo un nucleo di persone che ha basato la propria unità sull'amore, sul rispetto, sulla sincerità e sulla solarità nel nostro quieto vivere… Noi imploriamo la pietà di quelle perone che trattengono Yara, chiediamo loro di rispolverare nella loro coscienza un sentimento d'amore; e dopo averla guardata negli occhi, le aprano quella porta o quel cancello che la separa dalla sua libertà. Noi vi preghiamo, ridateci nostra figlia, aiutateci a ricomporre il puzzle della nostra quotidianità, aiutate a ricostruire la via della nostra normalità… non meritiamo di proseguire la nostra vita senza il sorriso di Yara.”
La naturale commozione che suscitò il loro appello fu presto sostituita dal sospetto che i genitori di Yara sapessero chi avesse rapito Yara, tutto perché Fulvio Gambirasio gli chiedeva di aprire “quella porta o quel cancello che la separa dalla sua libertà”. Chi odiava i Gambirasio a tal punto da sequestrare una bambina? Lo stava facendo per vendetta, per denaro o per invidia?
Visto come si è conclusa la vicenda, si capisce quanto queste domande siano state dolorosamente inutili per la famiglia Gambirasio.
(Biancamaria Massaro)
MA AL PARROCO DI BREMBATE IL DNA E' STATO PRELEVATO?....NON PER INCOLPARE NESSUNO , MA VISTO CIO' CHE STA SUCCEDENDO E VISTO CHE NON SI RIESCE A TROVARE L'ASSASSINO DI QUESTA POVERA BIMBA E' DA FARE SE ANCORA NON E' STATO FATTO.....IO CREDO CHE YARA SI SIA FIDATA DI UNA PERSONA CHE CONOSCEVA ED E' LI' CHE SI DEVE CERCARE..IL PARROCO E' TRA QUESTE PERSONE.....
RispondiEliminaBel pezzo. Voglio dire solo una cosa: non ci sarà stato lo sciacallaggio mediatico ai livelli di Sarah Scazzi, ma i media ci hanno marciato parecchio anche qui. E quando non avevano nulla da dire facevano servizi inutili di ripetizione sempre delle stesse cose.
RispondiEliminaQuesto clima, in generale, secondo me non aiuta il procedere delle indagini, e dà una brutta immagine del nostro giornalismo, che ricerca sempre più il sensazionalismo e la pancia piuttosto che le notizie e la ragione.
Ciao,
Gianluca
Il libro “Yara, orrori e depistaggi” (pagine 104, euro 13) del giornalista Salvo Bella, uscito in questi giorni, dedica alcuni capitoli al fallimento delle indagini sul giallo della piccola Yara Gambirasio. L’aveva anticipato la casa editrice Gruppo Edicom (www.gruppoedicom.it) nel nuovo sito www.ildelitto.it, appena varato col nome della collana che apre con il testo sulla ragazza di Brembate di Sopra rapita e assassinata da ignoti il 26 novembre 2010.
RispondiEliminaSecondo il giornalista, nulla avvalorerebbe la pista, finora privilegiata dagli inquirenti, del sequestro seguito da omicidio a scopo sessuale. Bella propende invece per la tesi del criminologo Francesco Bruno, il quale ritiene che il delitto sarebbe stato commesso “per minaccia e vendetta verso qualcuno” e che “in queste indagini ci sono stati dei pasticci”. Il questore Vincenzo Ricciardi – andato frattanto in pensione - aveva dichiarato per tre mesi che avrebbe riportato Yara viva a casa, come se la ragazza fosse viva e ostaggio di rapitori: invece era morta subito dopo la sparizione. Ciò avrebbe allontanato dalla verità, con altri avvenimenti collaterali che nel libro vengono analizzati ponendo inquietanti interrogativi: “All’epoca dell’omicidio – scrive infatti Bella - le indagini furono avviate in ambienti inquinati, che cercarono di distogliere dal Bergamasco e forse anche da piste scottanti: degli investigatori che le avevano imboccato si sono bruciati e sono finiti altrove, mentre altri che non avevano la necessaria capacità operativa, avendola perduta a causa di discutibili commistioni, sono rimasti al loro posto”.