John Dolan Vincent (o se preferite Daniel Fletcher, oppure Eric Bishop) è un falsario con un’intelligenza superiore alla norma. Ha una caratteristica somatica molto insolita, sei dita della mano. Tossicomane, si fa di codeina, painkiller, anfetamine, lassativi, barbiturici e perché no, sigarette. E caffè, tanti, troppi. Va spesso in overdose. Entra e esce dalle cliniche psichiatriche sempre con nome diverso.
Il manuale del contorsionista contiene tutti gli elementi del noir, quello duro. Droghe, medicine, crimine, mafia, falsificazione. Ma chi è il contorsionista? Cos’è il contorsionismo e come questa particolarità si esplica nell’esperienza del personaggio di Clevenger?
Da Wikipedia: “Il Contorsionismo è una particolare disciplina che prevede l'assunzione di posizioni del corpo innaturali.”
Ma come si diventa contorsionista?
È tutto scritto nel Manuale.
“Trova un nome: Controlla le lapidi, I necrologi, gli obitori, le Bibbie in vendita. Cerca qualcosa di familiare ma non ovvio, distinto ma che non rimanga impresso: Norton, Dillon, Harris.
Cerca un nome che provenga da un mestiere: Cooper, Porter, Taylor, Donner, Thatcher, Barber, Farmer;
Oppure un nome che derivi dai materiali: Wood, Silver, Steel;
dalla flora: Branch, Fields, Weed;
dalla fauna: Wolf, Bird, Crow, Hawk;
dai titoli: Sage, King, Pope, Priest;
dai colori: Black, White, Green”
La costruzione delle false ma verosimili identità si esplica attraverso la ricerca febbrile dei certificati di nascita, insistendo presso i vari uffici anagrafici che il certificato mostrato - falso - non risulta perché non presente nei loro archivi; nonché attraverso le visite negli ospedali e nei cimiteri, alla ricerca di una falsa parentela. Le identità aiutano John Vincent a confondersi nella massa per sfuggire tanto alle autorità, quanto alla criminalità organizzata a cui John ha rifiutato di unirsi.
John o, se si preferisce, Daniel o Eric, passa indenne attraverso ospedali psichiatrici, prigione e tentacoli della mafia, compiendo rocambolesche acrobazie grazie alla sua innata propensione per la matematica e la falsificazione, che lui applica in modo funambolico per togliersi dai guai.
Ciò che è veramente rivoluzionario nel Manuale del Contorsionista, oltre agli elementi tipici del Noir, è l’impiego della logica del poliziesco. Dalla narrazione emerge il metodo scientifico, quello di Poe e Doyle per intenderci, solo che questo metodo nel libro viene applicato al contrario. Ed ecco che le varie categorie vengono combinate per diventare parte di un quadro semantico con significati differenti dal solito. Il lettore è costretto a pensare con la mente di John Vincent, inizia ad applicare la sua logica contorta e acrobatica. Perché è così. Nel libro si parla di logica.
Il meticoloso investigatore di Arthur Conan Doyle impiega la logica per arrivare alla verità. Il lettore si diverte nel seguire il concatenarsi delle cause e degli effetti da parte del protagonista. Nel contorsionista/falsificatore di Clevenger succede la stessa cosa ma il metodo viene ribaltato. Ma come è possibile che Clevenger riesca a sovvertire in questo modo la ferrea logica del poliziesco?
Nel numero 22 di Sherlock Magazine, nell’articolo: “L’avventura del razionalista pentito” è presente la seguente domanda: “Come è potuto accadere che lo stesso Doyle si sia poi fatto alfiere di un movimento irrazionalista basato su palesi mistificazioni?”
Tento di rispondere alla domanda.
Una verità, a mio avviso, si può rinvenire in quello che sosteneva Karl Popper nel libro Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza: “ (…) di regola, la verità non è manifesta. La cosiddetta verità manifesta (…) ha costantemente bisogno, non solo d’interpretazioni e di asseverazioni, ma anche di reinterpretazioni. Per pronunciarsi in proposito e per formulare qualsiasi teoria (…) è necessaria una autorità, e questa autorità può imparare a condursi arbitrariamente e cinicamente.”
Dunque, l’interpretazione della verità muove da un principio arbitrario.
Poi, se si volesse prescindere da epistemologie pessimistiche, c’è un altro elemento da considerare, il famoso discorso sull’abduzione.
Umberto Eco nel libro Il segno dei tre- Holmes, Dupin, Peirce, mostra chiaramente come lo stesso concetto di abduzione muova da presupposti irrazionalistici pur essendo appartenente alla logica del ragionamento scientifico: “L’abduzione è il primo passo del ragionamento scientifico (…) e (…) l’unico tipo d’argomento che origina una nuova idea è un istinto che fa assegnamento su percezioni inconsce di connessioni tra aspetti diversi del mondo.” Quello che Clevenger fa sperimentare al suo personaggio, come del resto facevano Doyle e Poe, è un ruolo di autorità arbitraria che interviene razionalmente nelle logiche di ragionamento. In più, rispetto ai suoi colleghi Dupin e Holmes, John Vincent, oltre a intervenire sulle logiche, le falsifica.
La narrazione è affrontata da Clevenger provando, quasi forzando, le diverse possibilità narrative e applicando le lezioni/nozioni di Italo Calvino, uno dei maestri a cui l’autore non ha mai negato di attingere. Nel libro si possono apprezzare infatti tutte le caratteristiche delle lezioni americane: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità. La storia si apre mostrando delle vere cartelle cliniche (ovviamente falsificate, questa volta dall’autore e non dal personaggio) del Los Angeles County Department of mental health del Queen of Angels Hollywood Presbyterian Hospital; referti medici con tanto di terapia, diagnosi e firma del medico, tutti riguardanti John Vincent.
Elementi eterogenei come l’uso di droghe, stimolanti e barbiturici, le trasformazioni del personaggio, le atmosfere cupe dell’Hard Boiled, conferiscono al libro un fascino particolare. Lo stile richiama molto quello di Spillane, la narrazione in prima persona crea identità tra il narratore/personaggio e il lettore, il quale si trova irrimediabilmente costretto a cambiare identità assieme a John e a viverne le esperienze come se fossero sue. Ma questo è solo un esempio di quanto si può trovare in questo libro veramente godibile e divertente.
Bella recensione Luigi! :) Anche se chiamarla "recensione" è riduttivo, è una vera e propria analisi comparata. Bravo! ;)
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