Come si fa a spiegare chi è Alan Moore a chi non lo conosce? Come si fa a dire qualcosa su Alan Moore a chi già lo conosce? Ci si prova, con la consapevolezza che le parole non saranno mai abbastanza.
Alan Moore è un genio. Con la sua maestria letteraria ha creato mondi e pietre miliari in qualsiasi genere, anzi giocando con i generi, scardinandone i dettami e ricomponendoli a piacere, dai lontani orrori di Swamp Thing negli anni ’80, alla distopia di V for Vendetta, al noir storico di From Hell (questo titolo vi ricorda qualcosa?), passando addirittura per la pornografia di Lost Girls (sì, proprio pornografia, con persone nude, penetrazioni e genitali; leggetelo e vi sorprenderà). Moore è colui che ha traghettato, insieme a Frank Miller e altri, la figura del supereroe dalla cosiddetta Silver Age alla Dark Age con un’opera rivoluzionaria come Watchmen, salvo poi pentirsene e tentare un nostalgico recupero dell’età “d’argento” con Supreme e 1963. Sono molti i film tratti dalle sue opere, nessuno dei quali gli ha reso giustizia e in cui lui ha sempre rifiutato qualsiasi coinvolgimento.
Veniamo a Un piccolo omicidio. Siamo alla fine degli anni ’80, in Inghilterra. Timothy Hole è un’agente pubblicitario di successo cui è stata affidata la campagna promozionale di una bevanda analcolica in Russia, all’alba della caduta del Muro. In crisi con se stesso e in cerca d’ispirazione torna al suo paese natale, ma durante il viaggio un ragazzino sconosciuto lo perseguiterà, cercando di ucciderlo. Chi è? Cosa vuole da lui?
Moore e Zarate presentarono quest’opera nel 1991, in aperta constatazione e critica di una cultura del successo e della superficialità, figlia della Thatcher e di Reagan, che porta l’uomo all’auto-disgregazione. Un piccolo tradimento, un piccolo egoismo dietro l’altro e non rimarrà nessuno intorno a noi o dentro di noi. Il continuo chiacchiericcio di chi ci circonda, la folla, i marchi delle multinazionali che appaiono costantemente sono i simboli dell’alienazione di ogni individuo da se stesso e dagli altri, ma gli autori mostrano la via per ritrovarsi: come Timothy Hole, viaggiare fino al luogo della propria origine e lottare all’ultimo sangue contro le figure che abbiamo tradito ogni giorno della nostra vita.
Un piccolo omicidio è una sorta di thriller lirico e profondo, che ha davvero molto da dire e insegnare. La lettura a distanza di venti anni non diminuisce il valore dell’opera, piuttosto lo accresce, dimostrando tutta l’attualità dei temi trattati e ricordandoci come la civiltà dell’apparenza e della superficialità abbia solo assunto forme e mezzi più tecnologici, ma non sia ancora terminata.
Un piccolo omicidio è anche l’occasione per gustare le bellissime tavole di Oscar Zarate, argentino, che pare sia colui che per primo abbia proposto l’idea della storia a Moore (cosa rara per chi ha lavorato con quest’ultimo). Zarate si dimostra bravissimo nel mescolare suggestioni cubiste ed espressioniste e nel dipingere con colori caldi o freddi a seconda delle necessità narrative.
Nell’opera, che prescinde da strette considerazioni di genere, c’è questo e molto altro. Sicuramente uno dei lavori più interessanti tra i tanti di Moore. Consigliatissimo.
Marco Battaglia
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