La trama è semplice, pur macchinosa nella sua costruzione: l'ex-ministro inglese Adam Lang (Pierce Brosnan) ha bisogno di un ghostwriter che ne scriva la biografia. Quando viene contattato il personaggio chiave del film (Ewan McGregor), questi scopre che già un altro aveva iniziato a redigere la biografia, senza riuscire a finirla a causa di una morte improvvisa. Improvvisa e sospetta.
Man mano che il ghostwriter si addentra nella storia di Lang, si ritrova invischiato in una ragnatela da cui è sempre più difficile uscire.
Lang, conteso dall'odiosa moglie Ruth (una convincente Olivia Williams) e dall'amante-segretaria Amelia Bly (la Kim Cattrall di Sex and the City), sembra annegare nella disperazione a causa di una vicenda che sfugge rapidamente dalle sue mani. La Corte Penale Internazionale dell'Aia lo ha incriminato per crimini di guerra e a Lang non resta che fuggire negli Stati Uniti, uno dei pochi paesi a non riconoscere la sovranità della Corte.
Il ghostwriter, personaggio di cui non viene mai menzionato il nome (perché è uno qualunque, un'ombra, appunto, come da titolo) inizia a comporre un puzzle che sembra collegare Lang nientemeno che alla CIA. Le sue scoperte, chiaramente, metteranno la sua vita in grave pericolo.
Nel cast sono presenti anche James Belushi (senza capelli, quasi irriconoscibile) e un anziano ma sempre carismatico Eli Wallach.
Questo film, nonostante la buona sceneggiatura, l'umorismo sottile che la pervade, la cupezza della scenografia (pioggia e vento in pieno inverno, ambienti aperti, agorafobici), l'aria di ineluttabilità che aleggia sulle vicende del protagonista, ha alcune pecche che ne minano la credibilità.
A chi non avesse ancora visto la pellicola, il Terzo Occhio consiglia di non proseguire nella lettura di questo articolo.
Innanzitutto la vicenda cardine. Il ghostwriter sa fin dall'inizio che il suo predecessore è morto, annegato in mare dopo esser caduto da un traghetto. Una volta sull'isola, gli basta poco per intuire che la morte non è stata un incidente, né un suicidio, come gli viene fatto credere. Un uomo qualunque, così come il personaggio è stato concepito, si sarebbe davvero lasciato trascinare dagli eventi, una volta giunto a queste conclusioni?
E poi, quando alla fine scopre la verità (segreto che qui manteniamo), consapevole della potenza dell'agenzia che si trova a dover affrontare, l'uomo nell'ombra avrebbe davvero attirato su di sé l'attenzione del "nemico", così come ha fatto (in maniera del tutto insensata), ottenendo nient'altro che la propria drammatica condanna?
Sì, l'effetto del bigliettino che passa di mano in mano fino al destinatario, l'agente CIA segreto, è di grande effetto. Ma quale logica ha, a parte quella di creare ad arte una certa situazione per ottenere un determinato effetto, in questo caso sul pubblico? Insomma, perché non scomparire - abitudine consona al ghostwriter - e denunciare la sua scoperta alla Corte Internazionale, mettendosi in salvo e ottenendo giustizia? Se avesse usato un tabellone illuminato con la scritta "Io so tutto" sarebbe stato lo stesso.
Va precisato che anche nel libro il ghostwriter è morto e a narrare l'intera vicenda è il suo fantasma. Tuttavia, mentre nel romanzo rimane un barlume di speranza, nel film l'intenzione è precisamente quella di lasciare che la verità anneghi nel più totale silenzio.
Nel complesso, un thriller dalle tinte fosche, che a tratti sfuma nel noir, ben realizzato, ma poco credibile sotto certi aspetti. Una persona non fa quel che fa perché funzionale alla trama. Di fronte alla necessità di sopravvivere, occorrono motivazioni forti per giustificare determinate scelte, cosa che qui viene meno, inficiando il risultato finale.
(Daniele Picciuti)
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