domenica 31 ottobre 2010

Intervista con Barbara Baraldi

foto di Mirella Malaguti


Iniziamo quest’intervista con la domanda più banale, forse, ma che di certo rappresenta la prima curiosità quando si ha a che fare con un autore che ha raggiunto successi come i tuoi.

Qual è il tuo rapporto con la scrittura? Dall’idea alla carta come affronti la nascita di una nuova storia e nuovi personaggi?

Il mio rapporto con la scrittura è molto carnale. Quasi viscerale, oserei dire. La considero come un’amante a cui dedicare attenzioni ogni giorno. Per questo cerco di scrivere con continuità, per non lasciare il tempo alle idee di sfiorire nella mia mente. La trasformazione su carta è un atto naturale, anche se faticoso. A volte scrivo paragrafi tutti d’un fiato, che mi lasciano emozionata e sorpresa. Altre, poche righe sono frutto di scritture e riscritture.

Il tuo primo romanzo, “La ragazza dalle ali di serpente” (ZOE, 2007) viene pubblicato sotto lo pseudonimo. Perché questa scelta?

All’esordio ho scelto di utilizzare uno pseudonimo perché avevo bisogno di rifugiarmi dietro una maschera per sentirmi più protetta. Pubblicare un romanzo in qualche modo ti mette a nudo. Ti espone a un giudizio, mentre fino a quel momento avevo scritto solo per me stessa. Luna è il nome che mi ero scelta e con cui ero già conosciuta nell’ambiente dark, ma anche il nome del pianeta che simboleggia la femminilità, in continuo mutamento proprio come la donna. E “La ragazza dalle ali di serpente” è un romanzo spiccatamente al femminile.

Nelle tue storie la realtà si fonde con un universo emotivo forte, oscuro, pieno di paure e contraddizioni che spesso rivelano una natura surreale in ciò che circonda i protagonisti. Nella sua vita Barbara che percezione ha delle “forze” che le stanno intorno? E di cosa ha paura?

Sono sempre stata molto sensibile e certi luoghi provocano in me emozioni, così come certi periodi dell’anno o il contatto con persone che hanno vissuto storie particolari, nel bene o nel male. Penso che lo scrittore sia una creatura ricettiva, e che il suo compito sia di trasformare le sensazioni e le storie in parole. Mi fanno paura l’insensibilità della gente e la freddezza di chi non prova più sentimenti.


Ho qui davanti alcuni dei tuoi libri. Sulle copertine una netta preponderanza di toni cupi e rossi. “Rosso” anche il nome della tua ultima eroina: Scarlett. Cosa rappresenta per te questo colore?

Il rosso è la vita, l’amore vero, ma anche la passione travolgente. Il rosso è il colore del sangue e dei petali del mio fiore preferito.

Da Luna a Scarlett, passando per Amelia. Le protagoniste dei tuoi romanzi sono sempre eroine al femminile. Quanta Barbara c’è in loro e quanto di loro è rimasto in Barbara dopo averle imprigionate nella carta

Sono le mie eroine che rimangono dentro di me anche dopo che ho finito con la stesura di un romanzo. Di solito il momento della parola “fine” è estremamente malinconico. Mi manca ritrovare le mie protagoniste ogni giorno, la possibilità di vederle crescere e affrontare i problemi. Forse per questo molti dei miei romanzi, per ora, hanno avuto un seguito. Le protagoniste diventano così vive da avere ancora tanto da raccontare. Mi capita di vedere oggetti o paesaggi e pensare: “Questo piacerebbe molto ad Amelia, piuttosto che a Scarlett.” Del resto, regalo loro piccoli stralci di me stessa. Canzoni che amo ascoltare, una paura o la passione per qualcosa che mi emoziona. La sfumatura del colore degli occhi o la fiaba preferita della buonanotte.

foto di Mirella Malaguti


Perdisa, Castelvecchi, Mondadori. La tua storia editoriale è un’ascesa verso quello che i più considerano l’Olimpo di ogni scrittore. Arrivare alla Mondadori con un romanzo tutto tuo cosa ha significato in termini di opportunità? C’è un risvolto della medaglia? Ti sono stati imposti limiti o vincoli?

In ogni casa editrice ho avuto l’onore di collaborare con professionisti di altissimo livello, che mi hanno insegnato tanto. Penso che i vincoli possano rappresentare delle sfide. Già con Perdisa la collana imponeva il limite di 100 mila battute; era la prima volta che mi trovavo a dover narrare una storia con una lunghezza prestabilita. Pubblicare con Mondadori è stata una grande opportunità per farmi conoscere presso un pubblico più ampio. Dagli esordi fino ad ora, ho sempre cercato di dare il massimo e di fare il mio lavoro con umiltà, tentando sempre di migliorarmi. Non si può mai dire di essere arrivati: la strada della scrittura è in continuo divenire.

Tu rappresenti una delle firme più eclettiche della narrativa gotica italiana. Scrittrice, ma anche fotografa e modella. Come si conciliano in te queste nature? Hai mai avuto la sensazione che interessi così multiformi potessero diventare un limite a concentrarti su un unico obiettivo?

Il lavoro di modella mi ha permesso di pagarmi, molti anni fa, corsi di fotografia altrimenti troppo costosi. Ho smesso da tempo; ogni tanto mi lascio fotografare da artisti che penso possano leggere la mia personalità e trasformarla in un’immagine, anche se devo lottare contro la mia timidezza. Il mio amore per la fotografia procede di pari passo con la scrittura. Prima della stesura di Scarlett, per esempio, mi è capitato di visitare Siena e di catturare scorci emozionali da riguardare e riversare sulla carta.

E adesso la domanda della vincitrice del concorso intervista legato al tuo nome. Margherita Ciociano, incuriosita appunto dalla tua passione per la fotografia, chiede: Nella scrittura so che parli di inquietudini, fantasy, thriller gotico, lati oscuri della quotidianità. Mi incuriosisce sapere quali sono invece i soggetti che prediligi quando vesti i panni della fotografa?

Vestendo i panni della fotografa, non ho mai immortalato modelle professioniste, ma sempre ragazze incontrate per caso, a volte nei locali, alle mie presentazioni, o persino per strada. Ero attratta da uno sguardo velato di malinconia, uno stile di abbigliamento particolare o una forte personalità. Mi sono sempre divertita a raccontare storie attraverso gli scatti. Con una di queste modelle ho ricreato la mia versione della “più bella del reame”: specchi, un grandangolo e una stanza dalle pareti nere. Le mie prime presentazioni erano accompagnate da una serie di scatti in cui cercavo di racchiudere le atmosfere del romanzo.
Per concludere, ti proponiamo la nostra domanda di rito, in pieno stile nerocaffettiano
Barbara ha un tavolo prenotato al Nero Cafè. Chi (o cosa) sta aspettando?

Sto aspettando Scarlett. L’ho lasciata in una situazione davvero difficile, ma penso che se la caverà. Spero solo non mi faccia attendere a lungo, il caffè si sta raffreddando.

Grazie mille per il tuo tempo!

Grazie a voi! È stato un vero piacere.

(Nero Cafè - Laura Platamone)




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