"Sangue in sala da pranzo" di Gertrude Stein (Sellerio)
Fu una strana estate quella del 1933 nella casa di campagna di Gertrude Stein, nella valle del Reno, «febbrile» la definisce la scrittrice: un disordine e una inquietudine si impadroniscono della villa, complice l’avvicendarsi frenetico degli ospiti e dei servitori, senza dire dei tanti incidenti che capitano, dal sabotaggio delle due automobili alla cacciata dei domestici italiani. È proprio per questa specie di turbamento, per questo gioco delle coincidenze che prende forma in Gertrude Stein l’idea di scrivere un romanzo poliziesco, tanto più che proprio in quell’estate una vicina di casa viene trovata assassinata, colpita da due proiettili, e l’albergatrice del vicino villaggio muore in circostanze misteriose cadendo dal quinto piano dell’hotel.
Gertrude Stein, ormai scrittrice affermata, si trova però a un bivio. È afflitta dal blocco dello scrittore e si addentra nel mondo del poliziesco proprio per ritrovare la sua vena creativa. Combinando gli elementi dell’associazione libera e del monologo interiore - che sono le caratteristiche della sua scrittura - si abbandona al genere giallo ma lo fa alla sua maniera: presenta una serie di delitti e di indizi invitando il lettore a fornire il suo verdetto. Il risultato è un giallo sui generis, dove la storia rimane solo tracciata, c’è sì il sangue in sala da pranzo, ma la trama si frantuma e con essa il linguaggio.
Gertrude Stein (1874-1946) scrittrice e poetessa americana, trascorse gran parte della sua vita a Parigi dove si era trasferita agli inizi del Novecento. Nella capitale francese fu instancabile animatrice di un salotto frequentato dai maggiori artisti e letterari dell’epoca. Ammirata da Thornton Wilder, Picasso (che le fece un celebre ritratto) e Hemingway, tra le sue opere più note: "Tre esistenze", "L’autobiografia di Alice B. Toklas", "Guerre che ho visto"
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